La mediazione creativa a scuola - L'arte di risolvere i problemi tra insegnante e alunno

Pubblicazioni

Marco Vinicio Masoni
La mediazione creativa a scuola
L'arte di risolvere i problemi tra insegnante e alunno
 
Edizioni Erickson
Spini di Gardolo, Trento, 2002

Presentazione di Fulvio Scaparro

Un filosofo ha scritto che i ragazzi di oggi hanno una vita garantita da mille sicurezze e quindi non l'apprezzano a sufficienza né hanno rispetto per la vita propria e altrui.   Non è il caso di tutti perché la vita può essere sottovalutata anche per la mancanza di un ambiente di partenza stabile, solido, con figure adulte capaci di dare esempi di coraggio, di onestà e di coerenza, ma di sicuro il discorso vale per molti ragazzi e ragazze dei Paesi più industrializzati. In ogni caso, condivido l'opinione che la vita che ci è stata data, dobbiamo guadagnarcela in proprio, farla diventare nostra, voluta da noi.
E' come una seconda nascita: nella prima noi non abbiamo scelto, abbiamo ricevuto. Talvolta abbiamo ricevuto poco o niente e questo ci ha fatto disperare e agire da disperati. Nella seconda nascita, nell'adolescenza, tocca a noi mettere un segno personale sulla vita, darle un senso nostro. A questa età si comincia a diventare autori della propria storia.
Non è facile. Tra pochi successi e molti fallimenti si ha spesso l'impressione che la storia ce la scrivano gli altri. In buona parte è vero, ma quello che non dobbiamo mai fare è indugiare nelle lamentele, nell'autocommiserazione e nella ricerca di alibi. Molti uomini e donne prima di noi hanno lottato una vita, in condizioni personali e sociali difficilissime, per potere diventare almeno in parte autori della propria esistenza e non semplici attori di un copione scritto da altri. Ne vale la pena, perché noi ci affezioniamo a tutto ciò che è diventato prezioso grazie al nostro lavoro, al nostro impegno, al nostro amore. Dando un senso alla nostra vita, riusciremo non soltanto ad amarla ma a farla amare a molte persone con le quali entreremo in contatto.
Tutto questo è facile da dire ma difficile da realizzare. Quando si è molto giovani, l'obiettivo principale è la ricerca dell'identità ed è facile scendere a compromessi pur di essere visibili, riconosciuti e accettati dagli altri. In questo modo, nel migliore dei casi, si diventa come gli altri mi vogliono. Io non conto più nulla, condannato a interpretare una parte in una commedia o in una tragedia scritta da altri. Più arduo è ascoltare noi stessi, uscire dal coro e scoprire che costruire è di gran lunga più soddisfacente che distruggere. Per avere voglia di costruire occorre  cercare, scegliere e frequentare ambienti vitali e persone innamorate della vita.  Nella storia dell'umanità, milioni di ragazzi non si sono piegati alle loro condizioni di partenza che li vedevano in terribile svantaggio rispetto ai più fortunati. Prima di oggi, tanti giovani si sono salvati dalla disperazione, dalla schiavitù e dalle dipendenze, cercando con ostinazione nel mondo luoghi dove ci fosse un'atmosfera di rispetto tra le generazioni, contatto con buoni esempi, luoghi di vita dove le differenze non fossero considerate un'occasione per esercitare la prepotenza dei più forti sui più deboli, senza fanatismi e con un po' di autoironia, soprattutto da parte degli adulti. Hanno fatto in modo di conoscere e circondarsi di persone che li rispettassero e degne esse stesse di rispetto, sincere, capaci di criticarli e dire loro ‘no' quando era necessario, ricche di ideali, capaci di sognare e di condividere i propri progetti.
 ‘Responsabilità' non è una brutta e pesante parola, ma il segno che noi ci stiamo appropriando della nostra vita e diventiamo sempre di più gli autori della nostra storia. Sto indicando una via difficile. Quella più facile è vivere da servi o vivere da ladri. Dato che crescere e vivere è difficile e ci espone a delusioni e sconfitte, noi prendiamo la scorciatoia: ci mettiamo al servizio di qualcuno che viva al posto nostro o di qualcosa che ci illuda di farci dimenticare o almeno sopportare la nostra disperazione. Oppure ci avviamo nella via della violenza, prendiamo quello che vogliamo senza rispetto per nessuno, almeno finché qualcuno o qualcosa non ce lo impedirà. Questo vuol dire rinunciare a vivere, se per vita intendiamo pensare e agire in modo da potere essere fieri di ciò che abbiamo conquistato con fatica. In questo mondo, nulla di ciò che vale e dura si conquista e si conserva senza fatica. Gli obiettivi che avremo raggiunto saranno resi più preziosi proprio dall'impegno, dall'ostinazione, dalle rinunce che sono il costo inevitabile di ogni  impresa della quale potremo dirci orgogliosi.
Sappiamo già, per esperienza personale e non perché c'è l'ha insegnato qualcun altro, che il contrario dell'amore non é l'odio, ma l'indifferenza. L'odio implica che qualcuno ci interessa, che é un nostro nemico e in quanto tale esiste. L'indifferenza implica la non visibilità dell'altro e questa é una cosa ben diversa. E' meglio che mi si dica che sono un mascalzone, un disgraziato, piuttosto che non essere visto. L'aggressività dei ragazzi é una protesta inaccettabile nella forma, ma comprensibile nella sostanza, contro la mancanza di interesse e soprattutto contro l'indifferenza nei loro confronti che si manifesta, sottolineo, anche nel passare sotto silenzio le loro trasgressioni. Non facciamo del bene ai ragazzi quando passiamo sopra a loro comportamenti che non ci piacciono, perché questo vuol dire: "non ci sei". Una risposta adulta a questi comportamenti dei ragazzi quindi non dovrebbe essere di tipo giustificativo o riparatorio o fondata sul senso di colpa per mancanze reali o presunte nostre o della cosiddetta società, né di tipo soltanto repressivo-punitivo o emarginante fondata sulla proiezione attraverso cui scaricare su di loro ogni contenuto negativo. Soprattutto, ripeto, non deve essere indifferenza. Ognuna di queste risposte ha il difetto radicale di non riconoscere il ragazzo come individuo, come responsabile delle proprie azioni, ma anche come vittima di una cultura in cui noi adulti abbiamo pesanti responsabilità.
Quando ci scandalizziamo per l'indifferenza o l'aggressività dei ragazzi, sarà bene ricordare accanto a quali adulti crescono e in quale ambiente. É disperante esigere dai giovani il senso di responsabilità, quando è cosi raro vedere in noi stessi e in chi ci rappresenta quello che un tempo era chiamato "senso dello stato", cioè la capacità di agire al di là dei nostri interessi personali, immaginando e lavorando per il benessere di una comunità che esisterà quando noi non ci saremo più. Non so con quale coraggio possiamo far prediche quando poi in realtà molte volte ci accontentiamo e accettiamo che avvengano delle cose inaccettabili, e stiamo zitti per quieto vivere.
In linea di massima ritengo che la società adulta abbia l'adolescenza che si merita, ma non è consigliabile arrendersi sulla base di affermazioni generiche. In tutti i bambini, in gran parte degli adolescenti e in molti di noi la pace e il rispetto, l'onestà, la generosità, l'impegno, l'utopia, costituiscono spinte e motivazioni tanto forti da indurmi a non disperare per il futuro. Ma qualcosa deve cambiare, innanzi tutto negli adulti. L'adulto   dovrebbe essere disponibile senza attendersi che l'adolescente faccia altrettanto: disponibilità vuol dire "presenza non intrusiva", vuol dire essere pronti a dare, consigliare, accogliere, raccontare le proprie esperienze, i propri sogni, dare esempio, dire ‘no', ma anche sostenere, incoraggiare, quando occorre, evitando di sostituirsi al giovane e di rafforzarne la dipendenza, gettando così le basi di future dipendenze, interrompendo il piagnucolio del giovane, del ragazzo o della ragazza che si lamenta per tutto ciò che non ha avuto e che non ha, perché l'autocommiserazione non è una via di liberazione.
Meglio che il ragazzo protesti, meglio che il ragazzo se la prenda con qualcuno, piuttosto che pianga e si lamenti, abbassandosi all'accattonaggio degli affetti per sopravvivere. Noi dobbiamo fare in modo che questa sorta di accattonaggio non si diffonda, anche se molte volte l'esempio arriva dagli stessi adulti, lamentosi, rancorosi, perennemente in credito con il mondo. Disponibilità da parte di un adulto, di un insegnante o di un genitore, significa dare un tranquillo esempio di maturazione, quale può dare soltanto chi ha vissuto tanti distacchi e tante unioni, ma non ha perduto la voglia di vivere. Tutto questo servirebbe a creare le condizioni perché in un ambiente fertile crescano ragazzi fertili.
Per farsi accettare non si deve accettare mai, comunque, di fare quello che sentiamo come inaccettabile. Sembra un gioco di parole, ma almeno è facile da ricordare. Il gruppo, ad esempio, è di grande aiuto quando si è giovani, ma più del gruppo contano alcuni amici che ne fanno parte e più di loro conta ciò che, dentro di noi, sentiamo come giusto o sbagliato. Non consentiamo mai che il gruppo decida per noi contro i nostri principi, i nostri ideali, i nostri sentimenti. Ascoltiamo le ragioni degli amici, discutiamo, ma alla fine, se ci sembra il caso, prendiamoci la responsabilità di essere in disaccordo. Per conquistare una propria identità, ogni tanto c'è qualche prezzo da pagare, ma ne vale la pena.
Aiutiamo i ragazzi a non accelerare i tempi del loro sviluppo. Ognuno cresce con ritmi e tempi suoi che vanno rispettati per non 'fondere il motore'. Nessuna fretta di crescere. Se qualche coetaneo sembra più svelto, non c'è alcuna necessità di imitarlo se questo espone al rischio di diventare goffi, veri e propri pesci fuor d'acqua. Meglio fare quello che si può, cercando di compiere ogni giorno un passo avanti ma senza cercare scorciatoie. Non mascherarsi e non scimmiottare: essere giovani è un diritto e non c'è alcuna necessità né utilità nel ‘fare' gli adulti. Guardiamoci attorno e vedremo molti adulti mascherati: fingono di essere quello che vorrebbero essere e non sono. Non è un bel modo di vivere: hanno sempre paura che qualcuno un giorno o l'altro li smascheri, che dica: "Il re è nudo!".
Per non essere soli non basta stare in mezzo alla ‘gente', nel frastuono, nel mucchio. No, occorre la vicinanza di persone molto speciali, quelle che sono capaci di ascoltare, che hanno piacere se tu hai successo, che ti aiutano quando sei in difficoltà senza chiederti nulla in cambio. Forse ne abbiamo già trovate nella nostra vita, ma se così non fosse non bisogna arrendersi. Da qualche parte ci sono e ci aspettano, anche loro hanno bisogno di noi. Forse sono lì a portata di mano, in famiglia, a scuola, nel campo sportivo, nello  gruppo.
Ma ‘non essere soli' ha anche un altro significato ed è questo il ‘segreto' che svela questo libro di Marco Masoni sulla mediazione e dunque anche sulla creatività: ogni volta che possiamo, aiutiamo chi è in difficoltà. Non serve piagnucolare che con noi nessuno l'ha mai fatto. Spezziamo questa catena di sofferenza e di ricerca di alibi. Non basta non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi ma occorre anche fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi.
Aiutare chi è umiliato, chi è in difficoltà, cercare vie pacifiche alla composizione dei conflitti, non ha soltanto un evidente valore di per sé, ma ci aiuta a superare le nostre stesse difficoltà.

Buona lettura.

Fulvio Scaparro