Vivere senza storia

Appena penetrati nella storia, gli imperatori e i sacerdoti incas si sforzarono di cancellare dalla storia tutto ciò che la distingue: il movimento continuo. L'arbitrio, l'inquietudine, la diversità, la discontinuità, il desiderio, la violenza. Vissero nella storia, come se fosse fatta di un'altra sostanza – un'imitazione di quella sostanza eterea che conoscevano il giorno di Inti Raymi, gustando nella piazza del sole una goccia di tempo sacro. La società inca doveva restare immobile, identica, eguale a sé stessa, chiusa nel suo sogno di perfezione. Nessuno doveva varcare i confini della sua classe; e i figli della gente comune non potevano apprendere le scienze, “onde non avessero a insuperbire, arrecando danno allo stato”. Nessuno doveva cambiare la foggia del vestito. Nessuno poteva sposare una donna di una diversa provincia, di un diverso villaggio o di un diverso gruppo sociale. Nessuno poteva trasferirsi in un altro quartiere, perchè avrebbe confuso l'ordinamento decimale della società. Chi lasciava il suo gruppo e la casa senza ragione, era solo un uomo vano e curioso. Che sarebbe stato capace dei più atroci delitti, e doveva venire punito. Tutte queste leggi non sarebbero bastate, se i sacerdoti incas non avessero tenuto lontano dall'impero la moneta e la scrittura, le più temibili alleate della storia.

 

Pietro Citati , La luce della notte, Mondadori.