Nuovo articolo su SCIENZE DELL'INTERAZIONE 1-2 2020

Superamento dei Confini Disciplinari o Contaminazioni?

Marco Vinicio Masoni

 Riassunto.

Il quantismo e altre questioni riguardanti fisica e chimica postmoderne pare stiano diventando modelli per le scienze dell’uomo, in particolare per la psicologia e perfino per la psicoterapia. Qui si denuncia l’inanità della cosa, il suo errore di fondo e si tenta di incoraggiare i giovani psicologi a sentirsi meno succubi delle scienze della natura che giungono a limiti di uno scibile che deve necessariamente implicare cambiamenti dell’osservatore, dato che quel traguardo è stato raggiunto dalle scienze dell’uomo assai prima e con grande chiarezza.

Parole chiave: Fisica, tempo, quanti, psicologia, mente, storia.

Abstract.

Quantum and other issues of postmodern physics and chemistry are used, nowadays, as models for human sciences, in particular for psychology and psychotherapy. The paper highlights a fundamental conceptual error to this stream, encouraging psychologists to find alternative frameworks to those inspired by natural sciences. Key words: Physics, time, quantum, psychology, mind, history.

 

1. Le gerarchie scientifiche

Tramite il genere narrativo chiamato “storia” ci hanno raccontato spesso che mutamenti in certi ambiti del sapere sembrano correre paralleli ad altri cambiamenti in altre discipline. Consentiamoci di scordare qui che la storia non è il racconto, ma una scelta dei fatti e fidiamoci di chi ha “deciso” storia nel nostro tempo, perché probabilmente condividiamo con lui gran parte dei filtri attraverso i quali ha creduto di osservare la verità. Si ha allora spesso l’impressione che ci sia un legame tra quei mutamenti, una sorta di nesso di causa effetto e che qualcuno di essi sia l’origine e motore di tutti gli altri, che insomma certe discipline stiano in una posizione gerarchica più alta grazie alla loro capacità di spiegare, tramite nessi causali, ciò che struttura le altre. Sfuggono all’attenzione gli svisamenti della storia come sfuggiva a qualcuno nel Settecento la consapevolezza che il dormire non poteva essere spiegato con la proprietà dormitiva. Così per esempio, immaginando la storia come una catena lineare, composta da anelli causali si può arrivare a dire che le caratteristiche del capitalismo possono essere spiegate citando come causa e motore primo il capitale, facendo sfuggire alla nostra attenzione che a sua volta il capitale è figlio del capitalismo. Allo stesso modo il tempo del passaggio dall’universalismo medievale al nominalismo non può esser spiegato semplicemente affermando che vinse la battaglia il secondo perché si stava imponendo il mercato, dato che questo non spiega perché nello stesso periodo ci fu la crisi del canto gregoriano e nelle arti visive la comparsa di Giotto, a meno che non si offrano suggestioni poetiche sul potere dell’oggetto merce. Non sarebbe difficile elencare una lunga serie di esempi nei quali altre discipline, meno alla moda, possono autoproporsi come degne del posto più alto nella gerarchia delle scienze, ne riporto solo due, fra loro concatenati. Edward Sapir, grande linguista, scrive ai primi del Novecento: Gli esseri umani non vivono solo nel mondo oggettivo, né nel mondo dell'attività sociale come normalmente inteso, ma sono molto in balia della lingua particolare che è diventata il mezzo di espressione della loro società. È un'illusione immaginare che ci si adatti alla realtà essenzialmente senza l'uso del linguaggio e che il linguaggio sia solo un mezzo incidentale per risolvere specifici problemi di comunicazione o di riflessione... Non ci sono mai due lingue sufficientemente simili per essere considerate come rappresentanti della stessa realtà sociale. I mondi in cui vivono società diverse sono mondi distinti, non sono solo gli stessi mondi con etichette diverse. (Sapir's The Status of Linguistics as a Science [1929], p.209) Conseguente con le osservazioni di Sapir, un altro linguista, suo allievo, Benjamin Lee Whorf, giunse ad affermare che la scienza occidentale è in gran parte il risultato dei limiti grammaticali delle lingue occidentali e che le categorie a priori della morale di Kant potrebbero essere un artefatto della distribuzione dei sostantivi e dei verbi nella grammatica del tedesco? La teoria della relatività di Einstein potrebbe essere un artefatto della distribuzione dei sostantivi e dei verbi nella grammatica del tedesco? Eccetera, e per quanto tali ipotesi sembrino improbabili, sono legittimamente sollevate dai suggerimenti di Whorf (da Daniel Everett , Non dormire, ci sono i serpenti, prossima pubblicazione presso Fabbrica dei Segni).

2. La frattura del continuum

Ciò che avviene non può essere diviso in istanti che si susseguono o in fattori che compartecipano ottenendo alla fine l’avvenimento (l’aveva visto bene Bergson). Se lo facciamo, e lo facciamo spesso, dal Seicento ad oggi, chiamiamo l’operazione “analisi” dandogli, nel nominarla, un tono perentorio, una sorta di “si fa così” circondato spesso da un fumus accademico. Tuttavia anche l’analisi, generatrice di ogni classificazione, non è affatto l’ingresso nel campo del reale disaggregato nei suoi componenti che vengono poi isolati per meglio studiarli, è solo una scelta, e quei pezzi possono essere scelti in molti altri modi. Ciò che constatiamo in modo anch’esso mediato, ma più realistico, è un continuum, una realtà che rompiamo appena ci accingiamo ad analizzarla. Innanzi tutto vediamo eventi, e noi sappiamo che anche questa ovvietà obbedisce a una sorta di classificazione: ciò che è evento per una cultura può essere assolutamente invisibile per un’altra. Una volta decisi e “visti” gli eventi possiamo osservare che scorrono paralleli, così, per esempio, scopriamo con stupore che, ce lo ricorda Koirè, i naviganti che si spingevano nel Quattrocento oltre le Colonne d’Ercole facevano il punto nave ipotizzando già che la terra girasse intorno al sole, dato che i calcoli risultavano così molto più semplici. Il tutto avveniva cinquant’anni prima che Copernico scrivesse il De rivoluzionibus e che Osiander affermasse nella sua famosa prefazione che la ragione di quel poderoso libro era proprio la semplificazione dei calcoli. Come spiegarlo? Diremo che i marinai oceanici del suo tempo causarono la rivoluzione copernicana? O che era venuto il tempo di un mutamento generale dello sguardo umano? Qualcuno ha già osservato che il Cinquecento europeo vide una svolta di enorme portata, il genere umano iniziò ad accorgersi del mondo cambiando il suo canale sensoriale privilegiato, che passò da auditivo a visivo. Ciò non fu la causa della  nascita del pensiero sperimentale galileiano. Semmai l’impresa di Galileo fu tutta interna a quel cambiamento. Insomma non è rintracciabile un motore primo del progresso della conoscenza, eppure sembra che sia utile inventarlo. Utilità che nasce anch’essa nel Seicento e che, guarda un po’, entra far parte di quel secolo senza esserne a sua volta causa. Inoltre, l’analisi, cioè la frantumazione del “reale” per vederne i pezzi isolati, non può non scontrarsi con i limiti di ogni riduzione in frantumi. C’è un punto, in ogni cosiddetta scienza della natura, che se superato, se “diviso” ulteriormente, sfonda i confini disciplinari e si affaccia su un altro campo. Così accade, per esempio, alla biologia: analizzo la cellula, la disaggrego fino a dimensioni atomiche e di colpo nel corso del suo esame passo dalla biologia alla chimica e poi alla fisica. Così è accaduto alla fisica classica, obbligata a scontrarsi, osando entrare nel quasi infinitamente piccolo, col mondo dell’indeterminazione, e costretta di conseguenza a cambiar nome. Ora, la scienza sperimentale, quel mondo di discipline dai confini decisi dall’uomo, si porta addosso un peccato capitale. Dal tempo di Galileo ha escluso la mente dalla sua indagine. Ma ciò fa sì che la ricerca empirica, che non indaga la mente selezionante i fatti, ma solo i fatti, servendosi di protesi sempre più raffinate, dal telescopio al ciclotrone, si imbatta, ai suoi ultimi confini, in stati nuovi e critici. Si imbatte nel fatto che ciò che sta indagando è stato a priori deciso, più che “scoperto” dall’uomo. Così al fondo del gioco scientifico basato su queste decisioni a priori sta l’impatto coi confini di quella decisione. Accadde in modo chiaro alla matematica. Se la si intende, come faceva Galileo, come la lingua dell’universo, la vera espressione di Dio, allora indagandola a fondo si credeva di poter giungere a quelle verità che Dio vuole mostrarci. Ma i tempi cambiano e Godel dimostra con i suoi teoremi che la matematica non è rispecchiamento della perfezione dell’universo, ma è gioco, sofisticato, messo a punto da una infinità di autori nel corso dei millenni. E se è gioco, nel mondo della ricerca matematica entra prepotentemente l’indagine delle ragioni per le quali la mente collettiva ne è affascinata. La barriera è infranta, la disciplina cambia e diventa filosofia, sociologia, psicologia. Accade che i risultati della ricerca scientifica sembrino della stessa specie di quelli che il pensiero filosofico, sociologico, psicologico quasi di pari passo ottiene, ma se il mondo che produce filosofia, scienza e arte è lo stesso e utilizza un linguaggio comune, con una grammatica comune, con una sintassi comune, è intuibile che i suoi prodotti sembrino avere una matrice comune. Così le osservazioni di Fermi sui mesoni (Se li guardi spariscono), e la quantistica, messi insieme al costruttivismo sembrano della stessa pasta, mentre probabilmente appartengono solo alla stessa epoca culturale.

3. Chi può insegnare a chi?

Ma la somiglianza è travisata, è di nuovo inquinata dall’idea gerarchica di causa. Così la messa in discussione da parte di Heisenberg del principio di causa-effetto, tipico della fisica pre-quantistica, si riversa, con un’operazione accecata dalla nebbia di una cultura comune, nella spiegazione del comportamento umano. Così l’idea costruttivista (psicofilosofica) che l’osservatore modifichi l’osservato, diventa la scoperta di Heisenberg e di Fermi. Ma l’attualismo di Gentile (La filosofia come atto puro, dove si afferma col linguaggio del suo tempo che l’osservatore modifica l’osservato) è del 1916, lo scritto di Heisenberg sull’indeterminazione è del 1926. Chi studia i fatti umani (e gli psicologi dovrebbero farlo) sa che l’idea che il tempo fosse un concetto illusorio, era nota da millenni, potremmo dimenticare Parmenide? O Antifonte sofista (Il tempo è un pensiero dell’uomo)? O nei nostri giorni, tutto Bergson? La psicologia, se non riesce a servirsi di ciò che sta nel vasto campo delle scienze dell’uomo e si limita alla dimensione accademico-burocratica che oggi la contraddistingue e la impoverisce, se ne dimentica. L’interazione fra osservatore e osservato è così ormai matura e radicata in noi che se ne può parlare scegliendo esempi ovunque, senza scomodare la quantistica, qui Alessandro Salvini lo fa pensando a ciò che accade su una barca e dice che i marinai: sanno distinguere tra forme di pensiero e d’azione che riguardano da un lato la meccanica dei ‘movimenti’ della barca e dall’altro i significati delle azioni intenzionali, di senso, significato e valore, di cui loro stessi sono parte costitutiva. In quest’ultimo caso osservato e osservatore si intrecciano. Ma non ci basta cogliere l’insieme, vogliamo essere scientifici e se alziamo un braccio vogliamo analizzarne il percorso, così dividiamo il gesto in segmenti di spazio e di tempo, e il risultato è che perdiamo il gesto. E’ nientemeno che la lezione di Zenone di Elea. Ed è perdendo il godimento della continuità che ci chiediamo se questo riverberarsi di un sapere sull’altro è dato a sua volta da nessi di causa/effetto. Sembra una malattia. Vogliamo cause. Utilizzando i criteri delle scienze della natura che più hanno avuto fortuna negli ultimi secoli si sopravvaluta il criterio di causa-effetto, si legge il muoversi del mondo intero (non solo della natura, ma anche della mente) come frutto di tali spinte e ovviamente la spinta più alla moda, quella che sembra oggi più priva di rischi (pericoloso aggredire il pensiero unico), apparentemente nobile solo perché più attuale, quella della fisica, tende nella mente dei semplici a diventare l’esempio/causa della crisi dell’intero pensare umano. Così la costruzione che demolisce in fisica il nesso di causa-effetto, la quantistica, sembra essere la scoperta prima e la causa dei progressi nelle scienze dell’uomo. Che paradosso. A una fisica che si scontra alla fine del suo percorso con qualcosa che occorre più “concepire” che vedere, a una fisica che si arrende e tenta di rimettere la mente (tenutavi lontana per cinque secoli) all’interno della scienza, chiediamo di dirci qualcosa sul costruttivismo . 2 Lasciamo perdere, cari psicologi, non è il pensiero che si pone problemi alti (il pensiero filosofico o il grande pensiero psicologico dei padri della nostra disciplina) a doversi avvicinare, imparando, al mondo delle scienze della natura mentre queste mostrano le loro crisi, ma è esattamente il contrario, è il mondo della scienza delle cose e della natura che può apprendere riavvicinandosi a noi.

 

Nota della redazione: “L’Autore dell’articolo con il termine costruttivismo fa riferimento, in modo intenzionale e coerente ad una sovra ordinata posizione metateorica (che può essere definita anche antropomorfismo) che non implica un ricalco all’analogo uso del termine ‘costruttivismo’, spesso esteso impropriamente anche a modelli operativi e pratiche terapeutiche non qualificabili come tali. Si legga in proposito ‘le norme redazionali’, scritte per i collaboratori, a pag. 25 Scienze dell’Interazione,

 

Riferimenti bibliografici Bergson, H. (2019). Storia dell’idea di tempo. Mimesis, Milano. Berto, F. (2009). Tutti pazzi per Godel. Laterza, Bari. Copernico, N. (1975). De rivolutionibus orbium caelestium. Einaudi, Torino. 1-2 Everett, D. (forthcoming). Non dormire, ci sono i serpenti. Fabbrica dei Segni, Milano. Traduzione di Ludovica Aquili e Marco Vinicio Masoni. Febvre, L. (1978). Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. Einaudi, Torino. Gentile, G. (2014). L’attualismo. Bompiani, Milano. Heisenberg, W. (2016). I principi fisici della teoria dei quanti. Boringhieri, Torino. Koirè, A. (1974). Dal mondo chiuso all’universo infinito. Feltrinelli, Milano. Salvini, A. (2019). Le psicoterapie integrate ed eclettiche. Scienze dell’Interazione, 1-2, 4-14. Sapir, E. (1929). The status of linguistics as a science. Language, 207-214.