Giorgio Colli

Riportiamo ciò che scrisse Mazzino Montinari alla morte di Colli. 
Perchè oggi?
Perchè ci sono eventi che restano attuali anche fuori tempo.



 E' MORTO GIORGIO COLLI

LAVO' LA FACCIA AL SUPERUOMO

 

di Mazzino Montinari (1979)

 

Fu l'uomo che restaurò Nietzsche e ce lo ridiede ripulito dalle mascherature naziste. Aveva cominciato con la Sapienza greca. Tra i moderni, non riconosceva nessuno come maestro. Così lo ricorda un suo allievo, e il primo dei suoi collaboratori.

Giorgio Colli, piemontese, 25 anni nel 1942 quando venne ad insegnare filosofia nel liceo classico di Lucca, fu il primo professore antifascista che noi scolari della prima liceo, e dopo pochi mesi, amici, conoscemmo. Ci insegnò subito a non fidarci dei manuali di storia della filosofia e ancora meno dei professori di filosofia universitari.

Di Croce, che del resto non era filosofo accademico, rispettava solo

l'antifascismo e il liberalismo, ma ne respingeva la filosofia, in particolare

 proprio l'estetica che definiva superficiale fino all'ovvietà, se confrontata con la

teoria dell'arte di Nietzsche nella nascita della tragedia o di Schopenhauer nel quarto libro del Mondo come volontà e rappresentazione

. Verso Gentile invece imparammo a condividere il suo disprezzo per il filosofo dello Stato fascista, senza alcuna indulgenza o pietà, neppure quando fu giustiziato nel 1944.

Colli aveva fiducia in pochissimi vecchi, uno di questi era Piero Martinetti, di

cui ci sapeva rievocare la personalità con l'intensità delle parole e dei tratti che

era sua propria. Amava invece e cercava la compagnia dei giovani, aveva fiducia nel loro entusiasmo ed era radicale come lo sono i giovani. La sua fiducia era però accompagnata da una ferma richiesta di lavorare e di imparare attingendo direttamente alle fonti. Così

ci fece capire che era necessario leggere i testi dei filosofi nella lingua originale, imparare il tedesco per Kant,

Schopenhauer, Nietzsche, sapere meglio il latino per Spinoza e Giordano Bruno, il greco per Platone e i sapienti antichi

della Grecia. Da lui apprendemmo, come giovanissimi liceali, a conoscere le complicate questioni di filologia attinenti per esempio alla cronologia e all'autenticità dei dialoghi platonici o alle testimonianze e ai frammenti dei presocratici.

Con questa intransigenza, prima ancora morale che scientifica, noi scolari di Colli andammo all'Università di Pisa.

Ricordo tra tutti Angelo Pasquinelli, suo primo collaboratore nella collana dei "Classici della filosofia" Einaudi, che

morì non ancora trentenne nel 1956 mentre aveva appena terminato un primo volume sui filosofi presocratici fino ad

Empedocle.

Giorgio Colli aveva una sua precisa genealogia filosofica: le Upanishad, il Buddismo, i sapienti greci prima di Socrate,

Platone, Aristotele, Giordano Bruno, Spinoza, Kant, Schopenhauer, Nietzsche. Questi erano i suoi maestri: dei moderni

non riconosceva nessuno; per lui Sartre, Heidegger, Jaspers sono sempre stati dei ciarlatani (come lo furono, per 

Schopenhauer, Fichte, Schelling, Hegel). Dico questo, perché penso che molti dei consensi che Colli ha raccolto in

questo ultimo periodo si basino anche su qualche clamoroso equivoco. Col marxismo non ebbe rapporto alcuno, inoltre

fu sempre radicalmente ateo, non cristiano, anzi anticristiano (perché pagano).

 Nella politica, e quindi anche nella cultura, dell'Italia postfascista Colli è rimasto un isolato. S'impose solo come persona (non come corrente o scuola o partito): prima a Einaudi (per merito di Cesare Pavese e di Felice Balbo), poi a

Paolo Boringhieri (suo amico), si impose soprattutto per la sua immensa capacità organizzativa e di lavoro personale.

Così nacquero le traduzioni sue, che erano riedizioni, della "Critica della ragione pura" di Kant e dell'"Organon"

aristotelico, così nacque la straordinaria "Enciclopedia di autori classici", da lui diretta per Boringhieri e oggi

indegnamente finita nei remainders. Ma solo Luciano Foà, suo vecchio amico dall'epoca di Einaudi, Roberto Bazlen,

Roberto Calasso - insomma i fondatori di Adelphi - capirono veramente nei primi anni '60 chi era Giorgio Colli, e da

questo editore milanese, dove lavoravano e lavorano i suoi amici più cari di Lucca, Piero Bertolucci e Nino Cappelletti,

Colli aveva trovato la sua Casa. Questa ha fatto proprie e realizzate le due massime imprese di Colli: l'edizione delle opere di Nietzsche e quella della Sapienza greca.

 Nell'università invece, - da trent'anni insegnava storia della filosofia antica a Pisa dopo aver conseguito la libera docenza nel 1948, - rimase per i colleghi, tranne pochissime eccezioni quasi tutte piuttosto recenti, un estraneo; non così per gli studenti, che erano l'unica ragione del suo essere professore e che da alcuni anni affollavano sempre di più la sua aula e che hanno pianto nella casa di San Domenico di Fiesole come sanno piangere i giovani la sua morte. Qualcuno dei suoi colleghi rimpiange oggi di non aver saputo conferirgli quello che a loro sembra il massimo riconoscimento: la

cattedra di universitario. Si tranquillizzino. Giorgio Colli non "meritava" quel riconoscimento e l'università italiana non

meritava Giorgio Colli