Bullismo: che fare?

Bullismo, che fare?

M.V.Masoni – Riassunto dell’intervento al termine del convegno sul bullismo e sulla ricerca effettuata dalla Provincia i Brescia ( Brescia, aprile 2007).

Come avete visto, la mole di dati raccolti da questa ricerca è davvero cospicua, immagino che nei prossimi giorni la Provincia provvederà ad una sua pubblicazione e che molte correlazioni mostrate promuoveranno domande, ipotesi, ricerche e che quindi il momento analitico debba essere ulteriormente valorizzato dedicandogli i prossimi giorni, occorre infatti digerire, elaborare , come dicono alcuni psicologi, i dati raccolti. Io tenterò invece qui alcune osservazioni di sintesi. Il dato che più colpisce nella ricerca è la vastità del fenomeno “bullismo”, e qui credo necessaria una prima riflessione. La collega e amica a Paola Cattenati opportunamente ha ritenuto doveroso premettere che i dati vengono raccolti in base a delle definizioni. Se per esempio la definizione di bullismo implica che ci siano: dispetti, prese in giro, calci e pugni, minacce, esclusione, bugie, furti, allora il dato sul bullismo assumerà le dimensioni che avete visto, ma basta togliere una di queste voci e vedremmo calare sensibilmente il “fenomeno”. Chi definisce cosa sia il bullismo, chi ne dà una definizione completa? Alcuni accademici anglosassoni. In base a cosa lo decidano non lo sappiamo (non lo so), sappiamo però che il mondo accademico è influente e quindi ci si basa sulla fiducia. Io ho trovato assolutamente più interessante il grafico sulle modalità delle prepotenze, in particolare il dato sulle “prese in giro”, che ricopre il 52% del fenomeno “bullismo”. La cosa mi pare altamente tranquillizzante. C’è qualcuno di voi che nella sua vita scolastica non ha mai preso in giro o non è mai stato preso in giro? Tranquillizzante non perché non sappia che sentirsi costantemente oggetto dei commenti beffardi dei compagni possa essere insopportabile, ma perché mi dico che almeno in parte il fenomeno non è cambiato. Almeno sotto questo aspetto non stiamo andando a rotoli. Semmai è cambiata la nostra sensibilità. Questo mi sembra un fatto importante: un fenomeno pare allargarsi non solo perché i dati “oggettivi” cambiano, ma perché l’osservatore “vede di più”. Con i tempi cambiano i valori, cambiano le sensibilità; il politically correct ha avuto insomma una storia, e se a volte rasenta il buonismo pietista e perfino insultante (i ciechi per esempio non amano affatto essere chiamati “non vedenti”, ma il buonista si ostina a chiamarli così, forse perché ribattezzato così il loro problema appare in qualche modo meno grave), altre volte si basa su percorsi sensati: i termini “finocchio” e “frocio” per esempio sono stati giustamente stigmatizzati come insultanti ( e davvero mi ha fastidiosamente stupito che il procuratore capo della procura dei minori di Brescia , poco fa, abbia usato il primo riferendosi a due noti sarti). Ma ovviamente, oltre a ciò che viene oggi visto di più, c’è anche il nuovo, ciò che non era visibile prima perché non c’era. L’ha già ricordato l’assessore di Cremona. Il bullismo moderno si differenzia dalle violenze tradizionali perché punta a diffondere la propria immagine. Il telefonino è il mezzo. Internet è il distributore. Due diversi tipi di bullismo dunque, uno che chiamerei “tradizionale”, è l’agire del prepotente, figura presente in tutta la storia, e quando il prepotente tocca i limiti del lecito e passa all’azione deviante allora, e qui sono d’accordo col procuratore capo, occorre che la sanzione compaia a testimonianza che le leggi sono difese e che da esse siamo difesi. Ma chi, come me, ha lavorato per tredici anni in un carcere minorile e ha visto quali danni esso provochi nei ragazzi detenuti, non può non gridare che si mettano in atto misure alternative alla pena , e qui il mio accordo col procuratore capo è assoluto. Nel resto dei casi, la maggioranza oggi, occorrono invece nuovi strumenti. Il bullismo moderno , quello che ha bisogno di un riscontro mediatico, è importato dal mondo anglosassone. Ma che cosa significa importare in casi come questo? Non siamo certo davanti ad una immigrazione di ragazzi angloamericani. Ciò che si importa è la notizia, ed essa costruisce “esistenza”. Ho usato un termine impegnativo, non credo infatti che basti parlare di visibilità, anche se questa è la condizione di certe esistenze oggi. Perché il gesto del prepotente di quaranta anni fa per esempio veniva tenuto segreto e oggi lo si filma? Credo che il problema dell’identità, della sua ricerca, costruzione, difesa , sia questione soprattutto dei nostri anni. Finito il tempo nel quale i destini erano assegnati con la nascita (nasco bracciante e morirò bracciante), siamo passati al dovere vitale di costruircelo. La cosa riguarda soprattutto i giovani degli ultimi due decenni. Se il bisogno di identità si manifesta con la via più breve, la visibilità, occorre per lo meno offrire visibilità alternative. Questo richiede davvero un ribaltamento dei vecchi sistemi. La sanzione in questi casi non solo è inefficace, ma è addirittura , più o meno consapevolmente, cercata. Essa infatti non si presenta più isolata, come situazione disdicevole da nascondere, ma sempre più illuminata dall’alone mediatico. Riprendi col telefonino la mano che sfiora il sedere dell’insegnante, lo vedrà tutta l’Italia dei coetanei e non solo l’Italia. Prendi il colpevole e avrai costruito un eroe per i coetanei. So per esempio, e certo qui si va oltre il bullismo, che la ragazza che con il suo amichetto uccise anni fa madre e fratellino (Non voglio fare nomi) ha ricevuto nel carcere minorile nella quale era detenuta pacchi di lettere di coetanei ammiratori. Credo che l’obiettivo delle nostre ricerche e della formazione proposta agli insegnanti debba essere proprio questo: come offrire una visibilità eroica in luogo di quella trasgressivo/deviante? Porto come esempio, e concludo rapidamente, una tecnica , ovviamente di origine anglosassone, che pare dia buoni risultati e che non si basa sulle sanzioni: il bullo viene convocato, gli si chiede se si è accorto della sofferenza della sua vittima, si insiste su questa domanda fino ad ottenere un “sì”, gli si riconosce in un certo senso una buona competenza psicologica, gli si comunica la nostra impotenza in ordine a fare stare meglio la vittima, gli si chiede aiuto, gli si chiede di proporre, lui, soluzioni per fare stare meglio il compagno/a . Gli si chiede quanto tempo gli ci vuole per mettere a punto un progetto di aiuto. Si rispettano le date, lo si ri-convoca nel giorno stabilito, si ascoltano le sue proposte ( nella maggior parte dei casi ci sono!), si propone di metterle in atto per un periodo di prova, alla fine del periodo, sentendo anche la vittima, le si valuta e se hanno ottenuto un buon risultato si gratifica e si ringrazia pubblicamente l’ ex bullo. Come vedete non c’è sanzione, c’è la scoperta che essere prosociali è più gratificante di essere corrivi. La cosa funziona. E certamente spero che induca a riflessioni pratiche. Dimenticavo: anche la vittima (spesso divenuta “visibile” anch’essa nel suo penoso ruolo) scopre che si può esistere in altro modo.