Strategie - di Anna Antonucci

Antonucci

Strategie

 

Anno nuovo, classe nuova. Tutta o quasi, perché so esservi sei alunni ripetenti che conosco bene. Cosicchè in totale fanno 29: aiuto.

Entro in classe, l’impatto visivo è forte: concentrati in così poco spazio, appaiono un po’ una massa, tanti visi, attenti perché curiosi di vedere “com’è la nuova prof. di francese”. Tutti, tranne i respinti, baldanzosi per la maggior confidenza con la sottoscritta; e un’altra. Di lei vedo solo la lunga chioma biondo cenere: se ne sta pervicacemente di spalle.

“Eccola – penso – l’osso duro”. Sorrido fra me e me: in tutte le classi se ne trova uno. So che metterà alla prova la mia pazienza, toccherà i tasti giusti della mia irritazione. Questo tipo di studente pare avere un “savoir faire” adatto alla provocazione, appreso in lunghi anni di esercizio, incistato nel proprio essere scolastico, un’identità forte, costruita negli anni e difesa.. per difendersi, forse. Da chi e da cosa? Beh, poco importa. Inutile fare indagini. Ora si va avanti.

Imparo il suo nome e le chiedo gentilmente di girarsi verso di me. Acconsente anche se un po’ controvoglia.

La lezione successiva ho il privilegio di vederla di profilo. “E’ già qualcosa” penso.

Non che non stia attenta: non parla con la compagna affianco, la guarda soltanto. Capisco dai suoi gesti, dal libro che tiene sotto, dal quaderno aperto, che non è disconnessa: c’è, solo che sta di tre quarti.

Stessa richiesta, stessa reazione, questa volta un po’ scocciata. O forse no: quella sua espressione che le leggo in volto, un misto di sufficienza, finto distacco, con quel profilo all’ingiù sia delle labbra che degli occhi (come sa farsi… bruttina!) fanno parte di lei, del suo modo di essere. Lei è così, una che non ci crede.

Mi metto in gioco, mi piace partire alla conquista di questi ragazzi “difficili”. So che dovrò essere paziente, sfoderare qualche strategia che avrà, forse, un effetto magico. Ci spero.

 

All’inizio di una delle lezioni successive esordisco:

“Elisa, mi piacerebbe vedere anche il tuo profilo destro” La richiesta inusuale la sorprende,  vedo che le scappa un sorriso. Intuisco che sto scalfendo la sua diffidenza. Non subito, perché non si deve dare impressione di obbedire, ma si gira verso di me.

 

La sua diffidenza prende un nome: difficoltà nella mia materia, francese. Emergono subito, ma appaiono dietro la reticenza. Ad ogni richiesta di partecipazione alla lezione, lei oppone un no che camuffa sotto un finto atteggiamento di sufficienza “No, prof, non leggo; no, non vengo alla lavagna; no, non correggo l’esercizio.” Niente da fare, non lo fa. Di che far innervosire, molto. Osso duro. Devo aspettare il momento giusto per la giusta mossa strategica.

 

Sto girando tra i banchi durante un’ esercitazione. Elisa è in fondo e quando mi ritrovo davanti a lei, la scorgo sorridere: che bel sorriso, penso.

E poi sbotto: “ Scusa?? Ma cosa fai?? Stai …. sorridendo ??”

Lei si ferma, stupita, ma non più di tanto.

 “No, no - continuo- così non ti riconosco più! Ti voglio come sempre, bella….. seria!!”

“Ma prof! Ma come?? ” e intanto le scappa da ridere.

“Noooo, non così. Come sempre: seria e concentrata.”

 Elisa ha capito, penso pure che abbia “perdonato” questo mio teatrino che l’ha messa sul palcoscenico per l’intera classe (garda tu, come è più interessante dei miei salti mortali per far imparare la materia!!)

Inutile dire che il resto è venuto da sé: i fogli delle verifiche che lentamente si riempivano con coerenza; le insufficienze che piano piano risalivano la china; il sei meno che “ma che schifo prof” e che le ho chiesto di replicare anche nel test successivo perché andava bene così; le risposte proferite con sicurezza a domande fatte alla classe.

Fino ad arrivare a ieri: riconsegna dell’ultimo test.

Chiamo gli studenti uno a uno. Arriva il suo turno. Chiamo “Elisa” Lei si alza dal banco, mi alzo anch’io: mi viene incontro, la aspetto e la prendo sotto braccio. Finge di essere preoccupata: ride, Elisa.  La porto fuori dalla classe e le allungo il suo compito: sette e mezzo.

Et je lui fais la double bise.

Qua, fuori dalla classe. Per non metterla in imbarazzo.

A.A.