Caro vecchio Socrate

Antonucci

Caro vecchio Socrate

Anna Antonucci

 

Noto una locandina appesa in una bacheca della scuola. L’immagine è quella di una bimba di spalle, intenta a scrivere alla lavagna: è visibilmente in difficoltà. Sulla lavagna, questa frase:

“ Se non imparo nel modo in cui tu insegni, insegnami nel modo in cui io imparo”

A fianco, una elencazione: DISLESSIA, D.S.A., AUTISMO, A.D.H.D.               E’ proprio questo elenco a colpirmi per primo: vi si accomunano sindromi, disturbi e difficoltà di apprendimento. Insomma, caratteristiche diverse.

Questa sorta di “confusione”, invece di spiazzarmi, mi fa pensare e trovo tutto sommato interessante che, invece di disquisire sulle descrizioni pseudoscientifiche delle caratteristiche che descrivono ogni singola categoria, si sia scelto di ricorrere semplicemente all’immagine di una bimba in difficoltà di fronte ad una richiesta scolastica: alzi la mano chi, nel corso degli anni scuola, non si è mai trovato in una situazione simile. La difficoltà vista come assolutamente normale perché normalmente e abitualmente si ripresenta e  costella tutto il percorso di crescita. Perché questo significa crescere,  confrontarsi con il non noto, mettersi alla prova, fare passi, anche e soprattutto falsi, per poi riaggiustare il tiro, riprovare, trovare il proprio modo, la propria strada alla conoscenza.

Certo, il bambino non lo sa, non sa che sta facendo tutto questo, non lo razionalizza, perché non realizza che quello che sta facendo è il vivere con tutto il mistero che ci sta dietro.

Ma l’adulto sì. L’adulto ha il dovere, e  io la chiamerei meglio, la meravigliosa opportunità di entrare a far parte di questo meraviglioso vissuto personale che costituisce il processo di apprendimento.

“Se non imparo nel modo in cui  tu insegni…”                                               Lancio una provocazione: noi insegnanti ci siamo accorti che sono sempre meno gli studenti che imparano da come noi insegniamo? Non intendo la capacità di saper ripetere quello che ostinatamente cerchiamo di inculcare nelle loro menti (e che molti studenti, i più avanti forse, si “ostinano” a non voler più imparare); intendo la capacità di affiancare la loro ricerca, di saperla suscitare, stimolare, rispettando i  modi e i tempi di ciascuno; insomma, una maieutica con la quale principalmente si “tira fuori” quello che si adatta a quello che “si mette dentro”, come quando le acque di un fiume si gettano nel lago e vi si confondono.

“….insegnami nel modo in cui  io imparo”

La  frase originale  recita così:

“If they can’t learn the way you teach, Can you teach the way they learn?” (Harry Chasty, 1984)

Non so se chi ha scritto questa frase avesse in mente la possibile duplicità semantica, che può essere acclarata da una piccola aggiunta grammaticale al testo (“ ……. , can you theach them the way they learn?”) Certamente la traduzione in italiano dà una accezione riduttiva. In inglese, infatti, al significato più palese (derivante dal contesto e cioè dalla struttura precedente) di un necessario adattamento delle modalità di insegnamento alle specificità di ognuno, fa da rispecchiamento un altro più nascosto ma assolutamente rivelatore: tu, maestro, insegnami, dimmi, rivelami il modo con il quale io, discepolo, posso imparare. Troviamolo insieme. Cominciamo insieme quest’avventura.                                                                                                    In francese il verbo “apprendre” ha il duplice significato di insegnare e di imparare, quasi a voler sancire l’indissolubilità delle due azioni. Un saggio che ha scritto tante belle cose sulla scuola ha coniato il termine “insegnapprendimento”a voler significare l’indissolubilità di questo scambio reciproco in cui non è solo lo studente ad apprendere, ma è pure il docente ad imparare come sta insegnando, la sua adeguatezza ed efficacia ( e forse anche qualcosa di più: quante cose sanno gli studenti che noi non sappiamo !!)

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Rivedo all’improvviso lo sguardo di Alex, nuovo studente “speciale” di una nuova classe: ora capisco. Quello sguardo particolare, un misto tra l’interrogativo, il dubbioso, sicuramente preoccupato ma che, ad uno sguardo più attento forse malcelava un pensiero solo ” Questa prof.  cosa vuole da me? ”

Ora ti posso rispondere: capire come fare perché tu possa fare. Insieme.