La mente dei ragazzi

Mente dei ragazzi

La mente dei ragazzi, di Aldo Strisciullo.

Prefazione di Marco V. Masoni

Adolescenza e preadolescenza, per quanto riguarda l’uso che se ne fa, si potrebbero chiamare neologismi. Le loro definizioni sono decine. Da quelle che si basano sulla etimologia del termine a quelle sociopolitiche proposte dall’OMS. L’adolescenza di oggi non è quella di cinquanta anni fa, e nemmeno di trenta. E se si va indietro nel tempo si scopre che il termine, già alcuni decenni fa, non veniva usato, si preferiva “Giovani”.

 E qui nasce subito una domanda: i neologismi, le nuove classificazioni sono l’attribuzione di un nome a ciò che c’è sempre stato e che era senza nome o sono esse stesse nuove creazioni? Propendiamo per l’idea che i nomi che utilizziamo, una volta affermati, una volta manifestatasi la loro fortuna, trasformano il detto in cosa. Così è stata costruita e fondata l’adolescenza, col diffondersi e con la grande fortuna retorica della parola.

 Il tutto in un processo ovviamente complesso. L’autore di questo libro analizza che cosa è contenuto in questo processo, in questa costruzione dei nostri tempi. L’adolescenza ha al suo interno strutture significative, impalcature che la sorreggono (si pensi a quanto è importante e vitale oggi rispetto a un passato non lontano il problema dell’identità, affrontato con grande chiarezza dall’autore), definizioni che la difendono, retoriche che tendono a diffonderla e a spenderla. Aldo Strisciullo analizza. Non ci si faccia ingannare dalla ricchezza delle sue osservazioni, dalla erudizione dimostrata tramite le numerose citazioni che potrebbero suggerire che l’argomento è antico, quasi metastorico, e che molti nel tempo l’hanno studiato. Non è così, il grande numero di lavori sull’adolescenza fa parte del processo e della costruzione della fortuna di un termine recente, quasi senza storia. L’autore lo sa, sta esaminando una sorta di stato del presente e non uno spezzone dell’eternità che sempre c’è stata. Va da sé quindi che una ricerca di questo tipo non solo tenga conto delle novità, ma ne sia strutturata, includa le conseguenze che questa parola suggerisce e costruisce come eventi appartenenti al proprio campo. In particolare in questo libro di Aldo Strisciullo si dà molta importanza alle subculture dei ragazzi, alle culture tipiche del loro mondo, che cambiano. Trent’anni fa avremmo detto cose molto diverse, come sappiamo le azioni, gli atti, i discorsi e le parole dei ragazzi cambiano molto velocemente e oggi siamo immersi fino al collo nella cultura della community dei video giochi. Ora, la scelta del termine Community (comunità) non è casuale e anche se a volte esso viene utilizzato anche dal linguaggio di senso comune, non va dimenticata la sua origine e il suo significato. Il primo a parlare di comunità in opposizione a società fu Ferdinand Tönnies. Con “comunità” Tönnies intendeva indicare per esempio la famiglia, o un gruppo culturale nel quale l’aggregazione risponde a regole che appaiono naturali, ovvie, spontanee, in contrapposizione alle aggregazioni “sociali” che sarebbero frutto di accordi, di diritto, di norme, di regole e di ragione. Facile intuire come il termine “comunità” si adatti magnificamente a questo mondo che lascia fuori le regole dell’adulto, che pratica la trasformazione della gerarchia in una struttura invisibile e che sostanzialmente disobbedisce. Questa è la comunità dei video giochi. Una comunità più vasta delle società racchiuse tra le barriere geopolitiche. Facile intuire perché è fondamentale studiarla e analizzarla.

Cosa che l’autore fa, sezionandone il linguaggio, i funzionamenti, cercando di capire e di mostrarci che cosa accade, cosa sta costruendo il ragazzo d’oggi.

Ma il termine comunità si presenta adeguato anche per altre ragioni, per una sorta di astrazione utile, perché il ragazzo ideale, lo sappiamo, non esiste, perché il termine è una sorta di trita   generalizzazione, ma ora c’è sempre qualcosa in comune nei ragazzi d’oggi, (e per questo, ancora, communitas) qualcosa che consente di generalizzare, pur sapendo che le differenze individuali sono e restano enormi. Astrarre è operazione indispensabile, non avremmo i nomi delle cose se non sapessimo astrarre e coglier ciò che è comune nel mondo che ci circonda. Ma astrarre e nominare sono facoltà che si sono sempre offerte in cambio di un alto prezzo. Le astrazioni, le parole, i nomi, come già accennato, tendono a reificarsi. Le astrazioni producono altre cose questo è il loro prezzo: producono astrazioni concrete, cose che sembrano “vere” dato che il loro aspetto di parola, di etichetta, di nome, viene dimenticato..

Che fare dunque?

E’ sufficiente ricordarselo.

Lasciamo che le necessarie astrazioni siano provvisorie, ricordiamoci del motto di Parmenide:

"Perciò saranno nomi tutte le cose che i mortali hanno stabilito, convinti che fossero vere: nascere e perire, essere e non-essere, cambiare luogo e mutare il fulgido colore.”

Ricordiamo che noi parliamo per capirci e non perché abbiamo velleità ontologiche. Sarà così che leggeremo la community dei ragazzi come episodio, al quale per ora serve un nome e non come un mondo che si sta contrapponendo irrimediabilmente a quello adulto. Solo così può venire in mente un “che fare?”, perché tutto ciò che scorre, che è storico, può cambiare, e ciò che appare invece essenza, NO!

Per esempio in Italia i ragazzi parlano tendenzialmente la nostra lingua (il “tendenzialmente” è d’obbligo), e ciò in parte li accomuna, li accomunano i valori legati alla lingua italiana. Ora la comunità dei video giochi è così diffusa da superare ogni confine geografico e ciò ci consente di pensare che questa realtà condivisa dai ragazzi a livello planetario sia una nuova realtà importante, da studiare e capire.

E capire non significa affermare, col volto rassegnato, “ormai è così.”

Alla fine del suo percorso di analisi, di descrizione e di racconto, l’autore utilizza le conoscenze proposte e condivise per configurare un nuovo assetto della fase educante. Una scuola per i ragazzi, una scuola che sia adatta al loro mondo, sappia sia conservare i valori e le conoscenze che noi adulti riteniamo fondamentali che ciò che i ragazzi sentono come bisogno loro, che li faccia sentire all’interno di una community.

I ragazzi iniziano la scuola quasi sempre senza mai sapere bene che cosa è e quali esperienze vivranno. Però se chiedete ad un ragazzo qual è lo scopo del suo andare a scuola, vi darà sicuramente una risposta adulta, ma di cui non conosce bene la realtà: “Studiare serve nella vita”. La scuola, fino agli anni ’80-’90 del secolo scorso era un dovere sociale, si andava a scuola perché era così, faceva quasi parte dell’esistere stesso di ogni bambino. Negli anni successivi la scuola ha perso quella sua aurea di ineluttabilità (a scuola si deve andare, è nella natura delle cose) per diventare una realtà da negoziare: “Perché si deve frequentare una scuola, a che serve?” (mi chiedevano alcuni miei ex-studenti). 

 

Occorre dunque che questo strumento possente, che è la scuola, che ha due secoli e mezzo di storia e che oggi vive una formidabile crisi che rischia di annichilirla nell’arco di qualche decennio, affronti questa importante sfida e sappia rispondere a questa domanda.